Libera in America Latina // Narcotraffico

Messico, tra vecchie criticità e nuovi risultati

Una fotografia aggiornata sulla cosiddetta "Guerra contro il narcotraffico".

Il 2006 per il Messico è stato l’anno con il minor numero di omicidi della sua storia recente, poco più di 11 ogni centomila abitanti. Ciononostante, a pochi messi dalla sua discussa elezione, il Presidente Felipe Calderón mette in atto la cosiddetta "Guerra contro il narcotraffico", con il proposito dichiarato di dimostrare la forza dello Stato e garantire la sicurezza nella convivenza sociale, attraverso il dispiegamento dell’esercito e della marina per condurre una lotta frontale contro il traffico di droga e altre espressioni della criminalità organizzata.

Tale approccio militarizzato, che nel 2012 è stato seguito anche dall’attuale Presidente Felipe Peña Nieto, non solo si è rivelato ampiamente inefficace, poiché mira solo allo scontro a fuoco senza avvalersi di attività investigative e di misure capaci di attaccare anche patrimonialmente le organizzazioni criminali; ma l’aver di fatto trasformato buona parte della nazione in un campo di battaglia ha anche comportato un aumento esponenziale delle violazioni dei diritti umani, un impatto negativo sulla sicurezza e ha determinato l'aumento della violenza, della corruzione e dell'impunità. Il macabro conteggio delle vittime dal 2006 è di oltre 200.000 persone assassinate, con forte prevalenza nella popolazione giovane, ma anche di 32.236 casi di persone scomparse nel paese al 31 dicembre 2016, come riportato nel “Rapporto speciale sulla scomparsa di persone e fosse clandestine in Messico”, presentato dalla Commissione Nazionale per i Diritti Umani (CNDH).

Lungi dal voler considerare tale situazione in maniera critica e responsabile, il governo in carica nel dicembre dell’anno passato ha approvato la “Legge per la Sicurezza Interna”, attraverso la quale si è di fatto sanato una situazione di evidente incostituzionalità, conferendo formalmente all’esercito e alla marina la facoltà di eseguire operazioni nell’ambito della pubblica sicurezza, anche senza la necessità di ricevere ordini specifici da parte del Capo dello Stato. Di fatto con tale legge le Istituzioni democratiche del paese abdicano al loro ruolo di garantire la sicurezza della popolazione, delegando ai militari lo svolgimento di un compito per il quale non sono tecnicamente preparati ed esponendoli al forte rischio di infiltrazione e cooptazione da parte delle organizzazioni mafiose.

In questo contesto, la società civile messicana ha percepito la fondamentale necessità di organizzarsi per porre in essere strategie di prevenzione e mitigazione dei danni causati dalla violenza criminale e statale, così come per elaborare e sostenere proposte di leggi in favore delle vittime e i dei loro familiari e per dotare il sistema normativo messicano di strumenti legislativi capaci di combattere le organizzazioni criminali anche dal punto di vista economico e culturale.

La Rete Retoño per la prevenzione sociale della criminalità organizzata, nata 2010 con il sostegno e l’accompagnamento di Libera, è composta da gruppi, associazioni, difensori dei diritti umani, giornalisti e familiari delle vittime. La Rete in questi anni ha realizzato un importante lavoro, rendendo visibile l'impatto della criminalità organizzata in Messico a livello nazionale e internazionale, fornendo accompagnamento legale e psicosociale ai familiari delle persone scomparse, generando spazi di incontro, processi di formazione e kit di strumenti per rafforzare il loro lavoro nella ricerca di verità e giustizia.

Anche nel settore legislativo si sono prodotti risultati positivi, come la “Legge Generale sulla Scomparsa delle Persone”, approvata dalla Camera dei Deputati il 12 ottobre 2017 e l’inclusione nella nuova carta costituzionale dello Stato della Città del Messico di un articolo sulla riutilizzazione sociale dei beni confiscati alle organizzazioni criminali. Quest’ultima disposizione è particolarmente rilevante, poiché per la prima volta nel continente latino-americano è stata introdotta la destinazione a uso sociale dei beni confiscati e ancor più perché lo si è fatto attraverso una norma specifica in una nuova Costituzione, attribuendole in tal modo il più alto rango nelle fonti del diritto.

Va ricordato che in Messico, come in altri paesi del continente, già è prevista la confisca dei beni delle organizzazioni criminali, ma non la destinazione a uso sociale. Nel caso specifico il Sistema Messicano di Amministrazione e Conferimento dei Beni di proprietà dello Stato, nella sua relazione annuale 2014 riporta di aver ricevuto oltre 18 milioni di beni mobili e 130 beni immobili confiscati e di avere in gestione oltre 36 milioni di beni immobili e 2.165 beni immobili. Rispetto alla destinazione dei beni, si certifica che nello stesso anno di riferimento 2.165 sono stati assegnati alla Procura Generale della Repubblica e 681 al Sistema di Giustizia Federale. Nessuno di tali beni è stato riutilizzato in favore della società.

Di fronte a questo scenario, fatto di forti criticità ma anche di risultati raggiunti, anche in vista delle prossime elezioni politiche che si svolgeranno il 1 luglio di quest’anno, come settore internazionale di Libera consideriamo di fondamentale importanza continuare a rafforzare il lavoro in rete con i nostri colleghi e amici messicani, per favorire la realizzazione di solide iniziative di prevenzione sociale e accompagnare con forza le loro istanze di verità e giustizia.

Emiliano Cottini, Libera International