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19 dic 2024 - La nuova videoinchiesta di Libera Bologna
Nella serata del 26 ottobre nell’aula bunker a Bologna, il Giudice dott. Sandro Pecorella, ha letto il lungo ed articolato dispositivo nei confronti di 48 imputati riferiti alla cd. Operazione Grimilde. La corte ha riconosciuto l’intero impianto accusatorio è accolto praticamente tutte le richieste della pm della Dda di Bologna Beatrice Ronchi. Una sentenza giusta che ha riconosciuto la responsabilità degli imputati. Il dato più significativo è il riconoscimento dell’associazione di stampo mafioso e la confisca di beni per milioni di euro. Beni immobili e conti correnti che finiranno nelle casse dello Stato.
Libera sente vivamente di ringraziare la Pubblica Ministero dott.ssa Beatrice Ronchi, sempre attenta, e con grande professionalità e rigore ha portato all’attenzione del Giudice un compendio probatorio articolato e completo. Una magistrata sempre rispettosa di tutte le parti processuali. Tante erano le imputazioni contestate, dal reato di associazione di stampo mafioso ai relativi reati fine quali estorsione, intestazione fittizia di beni, usura, riciclaggio; reati tutti aggravati dall'utilizzo del metodo mafioso ai sensi dell’art. 416 bis.1 c.p..
E’ stata provata la pervasività del sodalizio criminale, le attività di un sistema di potere, che già con la sentenza Aemilia aveva fatto emergere un dato significativo e distintivo “nell'autonoma e localizzata forza di intimidazione derivante dalla percezione, sia all'interno che all'esterno del gruppo stesso, dell'esistenza e dell'operatività dell'associazione nell'intero territorio emiliano come un grande ed unico gruppo ‘ndranghetistico”. Grimilde ha accertato l’esistenza di un’autonoma cosca di ‘ndrangheta in Emilia Romagna.
Per Libera, che si è costituita parte civile anche in questa operazione, (figlia della più grande operazione cd. “Aemlia”) la consorteria, agendo avvalendosi della forza di intimidazione e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva, ha compromesso l'equilibrio della vita democratica, ponendosi in radicale contrasto degli interessi pubblici della stessa comunità.
E’ stato quindi dimostrato come le condotte ascritte alla consorteria abbiano aggredito non solo le regole poste a fondamento della convivenza civile, ma abbiano altresì inquinato beni giuridici costituzionalmente garantiti quali, la libertà di iniziativa economica privata, la tutela del mercato del lavoro, la libertà di stampa, il buon andamento e l’imparzialità della pubblica amministrazione, i beni comuni.
La ‘ndrangheta si è fortemente radicata nel territorio emiliano e si è data una struttura verticistica ed ha creato un vero e proprio sistema per concorrere ad operare nelle attività economiche del territorio, attraverso il consueto meccanismo delle estorsioni a danno degli imprenditori attivi in città e di un rilevantissimo numero di reati in materia di intestazione fittizia di beni, realizzate con il precipuo scopo di eludere le misure di prevenzione patrimoniale, oltre che con reato di truffa ai danni dello Stato.
Altro elemento che emerge in maniera chiara è quella della vera vocazione del sodalizio ‘ndranghetistico emiliano “è davvero l’emblema di quella ‘ndrangheta dalla vocazione prettamente imprenditoriale”. Libera ha sempre sostenuto che le mafie al nord vogliono occupare “mercato” ed espandersi nel territorio quali imprenditori, per invadere e penetrare l’economica legale. A dominare è dunque la logica dell’affarismo totalizzante da parte del gruppo mafioso, che interessa sempre più settori disparati della vita pubblica ed economica: dalla libera informazione, alla gestione delle attività imprenditoriali, al mercato del lavoro, alla funzione pubblica, alla gestione degli appalti.
La penetrazione nel tessuto imprenditoriale e la conseguente ulteriore acquisizione di potere economico e finanziario hanno dunque permesso alla ‘ndrangheta l’ingresso nella cosiddetta “zona grigia” - rappresentata anche da professionisti ed imprenditori e della politica. Lo dimostra la condanna ad anni 20 di Giuseppe Caruso, Presidente del Consiglio Comunale di Piacenza.
Nell’operazione Grimilde è esemplare è quello che si è chiamato L’affare “Oppido”.
L’affare “Oppido” fornisce una palese dimostrazione della pervasività degli interessi del sodalizio di ‘ndrangheta allorché questi abbia l’opportunità di truffare somme illecite attraverso il rilevante contributo di funzionari infedeli dello Stato e di professionisti che prestano la propria opera intellettuale al servizio del malaffare. In particolare, al fine di ottenere le somme spettanti sulla base di una falsa sentenza, la società “Oppido Gaetano & C. s.r.l.” notificava detto falso titolo esecutivo al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti – Provveditorato Interregionale per le OO.PP. Campania e Molise, il quale, con ordine di pagamento del 23.06.2010, disponeva il trasferimento della somma di € 2.248.120,55 sul conto corrente della predetta società. Alla realizzazione di tale elaborato piano criminoso partecipava l’intera cosca emiliana, con il supporto della casa madre cutrese e di alcuni professionisti, quali Fontana Giuseppe e De Simone Renato, entrambi condannati.
A Libera è stato riconosciuto un danno a titolo di risarcimento, e qualora le somme riconosciute fossero liquidate, Libera ha sempre affermato, anche in sede di giudizio, che li avrebbe destinati a diversi progetti: uno rivolto alle scuole per l’affermazione della cultura della legalità, un progetto rivolto alle Università sui temi dell’Etica delle imprese e delle Professioni e dell’Etica della Politica.
Anche in questo processo Libera ha assistito ad un attacco sistematico nei confronti del ruolo delle parti civili, definite “avvoltoi”, termine utilizzato anche dal boss Grande Aracri Nicolino il quale si domandava se le parti civili hanno mai fatto qualcosa di utile per la società. Queste dichiarazioni ci hanno fatto riflettere e ci hanno inquietato. Intimidazioni velate che rispediamo al mittente. Nessun passo indietro. Ribadiamo, anche al boss Grande Aracri Nicolino, che Libera ogni giorno cerca di seminare speranza e cultura della cittadinanza responsabile e come ammoniva il giudice Paolo Borsellino, la lotta alla mafia non è soltanto una distaccata opera di repressione ma che deve essere percepita come "un movimento culturale e morale in grado di coinvolgere tutti e specialmente le nuove generazioni, le più adatte a sentire subito la bellezza del fresco profumo di libertà che fa rifiutare il puzzo del compromesso morale, dell'indifferenza, della contiguità e quindi della complicità".