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Hyso Telharaj aveva solo 22 anni quando è stato ucciso nella campagna della provincia di Foggia. Il giovane albanese era venuto in Italia per cercare lavoro. Hyso lavorava la terra. Era un bracciante agricolo che raccoglieva i frutti della terra della Capitanata. Hyso si svegliava ogni giorno che era ancora buio e lavorava senza sosta fino al tramonto, raccogliendo la frutta. I pochi soldi che guadagnava gli erano necessari per campare e per aiutare la famiglia.Non è stato ucciso dalla malattia o piegato dalla fatica come accade a tanti braccianti agricoli: Hyso è stato ucciso dai caporali perché non ha ceduto al loro ricatto. Era l'8 settembre del 1999.
Nel ventennale della sua uccisione Libera promuove tre giorni di memoria e impegno dal titolo “Il dolce sorriso di Hyso Telharaj”. Saranno ospiti di Libera, della comunità pugliese Suzana e Ajet Telharaj - fratelli di Hyso Telharaj che arriveranno dall'Albania per ricordare il loro fratello.
Il dolce sorriso di Hyso Telharaj
8 settembre 1999 – 8 settembre 2019: fare memoria per raccontare il presente
7 Settembre
Ore 18:00 Casa Mandela - Via Carulli 136 - Bari
"Uomini e caporali": Diffusione e trasformazione del caporalato. Come contrastarlo?
Interverranno:
Habib Kouadio - Casa Mandela
Suzana e Ajet Telharaj - fratelli di Hyso Telharaj
Anna Lepore - Segretario Generale FLAI CGIL BARI
Modera
Alessandra Ricupero - Libera Puglia
8 settembre
Ore 18:30 Comunità di accoglienza Emmaus, Via Manfredonia Km 8, Foggia
“Coltivare una terra difficile: ricordare per resistere”
Interverranno:
Daniela Marcone – Libera, settore memoria
Suzana e Ajet Telharaj - Fratelli di Hyso Telharaj
Don Vito Cecere – Emmaus
Claudio de Martino – Avvocato di strada
Raffaele Falcone – Segretario FLAI CGIL
9 settembre
Ore 18.00 Palazzo Coccia – Corso Garibaldi, 59 – Cerignola
"Io mi chiamo Hyso: caporali e caporalato a 20 anni dalla morte d Hyso Telharaj"
Interverranno:
Don Luigi Ciotti – Presidente Libera
Ludovico Vaccaro - Procuratore Capo di Foggia
Daniela Marcone – Libera Settore Memoria
Suzana e Ajet Telharaj - Fratelli di Hyso Telharaj
di Daniela Marcone, vicepresidente nazionale Libera
Da quando abbiamo ricevuto in dono dai fratelli di Hyso Telharaj la sua fotografia, per noi Hyso si è impresso nel cuore e nella coscienza con il suo sorriso pulito e vitale. Hyso voleva vivere. Arrivò in Italia, in provincia di Foggia, fuggendo dall’Albania dove la sua famiglia non riusciva a sopravvivere e accettò di fare il bracciante agricolo senza diritti o orari. La terra che lavorava sotto il sole cocente era il mezzo per tornare a casa in Albania e costruirsi un’esistenza diversa. Il suo lavoro da bracciante ci racconta di una persona che si è rimboccata le maniche ed ha compreso che in Italia non c’era “l’America”, ma solo duro lavoro e una vita quotidiana che stremava e consumava. Eppure era rimasto, forse contava i giorni che lo separavano dalla possibilità di tornare dai suoi, e quella possibilità dipendeva dai soldi, pochissimi, che guadagnava. Ecco perché Hyso disse “no” ai caporali che gli chiesero parte di quei soldi quale condizione per poter continuare a lavorare, a spezzarsi la schiena nei campi ed a vivere in un casolare di campagna privo del minimo per un’esistenza dignitosa. Un no pronunciato con convinzione, mostrando il suo volto onesto, bruciato dal sole; la sua giovinezza incupita dalla fatica e dalla paura. Quel no fermo è stato la sua condanna a morte, nella Puglia splendente di sole, lambita dal mare blu. Andarono a picchiarlo e gli spararono senza pietà, per dire a tutti coloro che si trovavano in quella situazione che i caporali non perdonano. Non si può resistere al loro sopruso, alla loro violenza. Era l’8 settembre del 1999.
Sembra quasi impossibile che sia potuto accadere un “male” così assoluto, dirompente, che distrugge convinzioni. Erano gli anni in cui non si parlava delle mafie di Foggia e ancor meno del danno incalcolabile che i caporali stavano facendo alla nostra terra, gestendo un potere di vita e di morte nei confronti di tante persone che erano invisibili perfino a noi pugliesi. Il bellissimo pomodoro che arrivava sulle nostre tavole era il frutto di un lavoro che uccideva. Ma a noi bastava mangiarlo con quel suo sapore inconfondibile che, oggi, sappiamo bene essere stato concimato con il sangue di tanti innocenti.
Ecco perché l’uccisione di Hyso l’abbiamo avvertita come uno strappo violento che ci ha spinto a fare di più e la memoria di Hyso l’abbiamo costruita giorno dopo giorno nel nostro impegno in una terra bella ma difficile. Dopo venti anni da quell’8 settembre, vogliamo restituire alla famiglia di Hyso Telharay una storia che ha continuato a camminare tracciando un solco, non solo in Puglia, ma in tanti luoghi del nostro Paese, dove i volontari di Libera hanno raccontato la scelta di Hyso come riferimento di resilienza e amore, esprimendo il senso di accoglienza e solidarietà che il costruire memoria non può non avere come significato più profondo. Una memoria che permette al passato di raccontare il presente, di avvertire che il suo “no” può farci compagnia quando sceglieremo di lottare per la dignità di tutti, di contrastare il caporalato perché avvertiremo la richiesta del caporale pesare nelle nostre scelte di consumatori responsabili.
Non siamo riusciti a proteggere Hyso, ma il nostro resistere nell’impegno e nelle convinzioni ci permette di non rinunciare alla vitalità del suo sorriso.