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Droghe: com'è cambiato il mondo degli stupefacenti

Intervista a Don Luigi Ciotti sulla rivista "Il Regno"

Secondo i dati più recenti l'Italia è al secondo posto nell'uso di sostanse stupefacenti leggere, che di leggero non hanno più nulla se non la percezione del rischio. Quattro milioni di persone, tra i 15 e i 64 anni, hanno consumato negli ultimi dodici mesi almeno un tipo di droga tra cannabis, cocaina, eroina, droghe sintetiche, nuove sostanze psicoattive. (...) Ne abbiamo parlato con don Luigi Ciotti presidente e fondatore del Gruppo Abele.

Come sono cambiate le droghe negli anni? Quali sono le principali differenze tra le droghe di oggi e le droghe degli ultimi anni?

Come ogni prodotto di consumo, anche le “droghe” sono cambiate e continuano a cambiare. Nello specifico, il cambiamento è determinato soprattutto da tre fattori: a) La concorrenza all’interno del narcotraffico, che pur nel moltiplicarsi delle economie illegali e delle occasioni di arricchimento resta una delle principali fonti di profitto delle mafie, la base dei loro imperi criminali. Concorrenza che porta all’immissione nel mercato nuovi tipi di sostanze in grado di “conquistare” nuove fasce di consumatori. b) I mutamenti sociali, in particolare in ambito giovanile, che determinano nuovi orientamenti, propensioni, stili di vita e di consumo, di cui l’uso di droghe diventa parte integrante. Cruciale, in questo senso, è stato il passaggio negli anni 90 dalle droghe da “estraneazione” – di cui era emblema l’uso di eroina endovena – alle droghe da “prestazione”, socializzanti e performanti, come l’ecstasy, le anfetamine, la cocaina. Cruciale perché ha contribuito a demolire nell’immaginario giovanile la figura romantica dell’eroe-negativo che con la tossicodipendenza esprimeva una protesta al “sistema”, trasformato dalla cultura della prestazione in figura “perdente” e priva di fascino. c) La crisi economica, che ha profondamente impoverito l’Italia e reso lo “spaccio al minuto” un espediente per fare qualche soldo. Quanto allo scenario attuale, è molto articolato: la stragrande maggioranza dei consumatori predilige una triade di sostanze: due legali, alcol e tabacco, e una illegale, la cannabis. La “fidelizzazione” alla cannabis (chi la consuma non vi associa l’assunzione di altre sostanze illegali) è stimata intorno all’80 per cento. Quanto alla minoranza, pur significativa che si avventura nell’uso/abuso di droghe illegali (da una parte cocaina e crack, dall’altra oppioidi sintetici – ottenuti prevalentemente via Internet – insieme a un ritorno dell’eroina fumata) sono persone che hanno spesso alle spalle prolungate “sperimentazioni”. Ketamina, efedrone, psicofarmaci rappresentano varianti in grado di determinare di volta in volta effetti “personalizzati”, sicché si può dire che, a differenza del passato, oggi il “mercato” offre la possibilità al consumatore di confezionarsi il proprio prodotto, in base a esigenze e effetti desiderati.

Quali sono le più preoccupanti emergenze legate al consumo di stupefacenti nei nostri giorni?

L’overdose rimane l’emergenza principale: non solo quelle tradizionali causate da eroina e da alcol – aumentate statisticamente in questi ultimi anni dopo una progressiva diminuzione – ma quelle associate a infarti e ictus per abuso di cocaina e di crack o a ”colpi di calore” (ipertermia letale) per eccesso di anfetamine e metanfetamine. Si manifestano inoltre stati deliranti prodotti dall’abuso di droghe sintetiche, e se da un verso è diminuita la diffusione di malattie attraverso l’uso di siringhe infette, dall’altro resta alto il rischio del contagio per via sessuale a causa di comportamenti irresponsabili.

Quale tipo di consumo di droghe c’è da parte dei giovani? Per quale motivo e a che età si avvicinano alle droghe? Vi sono differenze rispetto al passato?

Le sostanze psicoattive di sintesi, raggruppate nel termine generico di “nuove droghe” e reperite sui mercati “criptati” di Internet si stanno diffondendo sempre più tra le nuove generazioni. Parliamo di metanfetamine a volte non ancora classificate come illegali, di oppiodi prodotti in laboratorio, di efedrone… Molti ragazzi oggi tendono a sperimentare e provare di tutto, spesso senza sapere nulla della sostanza assunta. Incoscienza, impulsività, senso d’onnipotenza e di invulnerabilità propri dell’età adolescenziale sono i fattori che in genere vengono associati all’abuso. I motivi che portano all’iniziazione del consumo sono spesso banali: accondiscendenza al gruppo, riflesso conformistico all’interno di un atteggiamento anticonformistico, timore di essere da meno e dunque esclusi. Tutto riporta alla pressione del gruppo dei “pari” e al desiderio di appartenenza identitaria tradotto in emulazione di comportamenti trasgressivi. Bisogna tuttavia distinguere il fenomeno del consumo da quello della dipendenza. La maggior parte dei giovani consumatori impara a conoscere il proprio limite e a ricondurre l’assunzione di sostanze a un principio di autoregolazione, trovando una misura nell’intensità e nella frequenza. Quando si riduce il bisogno di appartenenza – con i relativi “riti di passaggio” – il più delle volte il consumo diminuisce o scompare, soppiantato da interessi di altro genere e dalla ricerca di nuovi e più maturi rapporti. Se l’età tipica dell’iniziazione rimane il biennio della scuola superiore (con una “precocizzazione” oggi, in alcuni contesti, agli anni della scuola media), la desistenza dall’abitudine avviene mediamente tra i 22-24 anni, tranne per chi si avventura in percorsi rischiosi che sfociano nella dipendenza. Al primo consumo si giunge per motivazioni banali, veicolate, come detto, dal bisogno di socializzazione, di appartenenza e d’identità. La persistenza nel consumo, l’abuso e la possibile dipendenza riguardano invece ragazzi colpiti da forme di disagio personale o relazionale, spesso cresciuti in ambienti familiari e sociali attraversati da privazioni che lasciano il segno.

Perchè i Ser.d e le comunità di recupero si sentono abbandonati?

Sono ormai 8 anni che non viene convocata una Conferenza nazionale sulla droga (per legge dovrebbe essere triennale). Il Dipartimento nazionale antidroga è da tempo una scatola vuota, privata di personale, di consulenza scientifica, di finanziamenti. Il disinteresse della politica per le dipendenze scaturisce a mio avviso da due fattori. Da un lato il congelamento della questione droga, in quanto troppo “spigolosa” per esecutivi di unità nazionale (anche nell’attuale “contratto” di governo non è presa in considerazione); dall’altro i tagli alla spesa sanitaria e la conseguente, pesante penalizzazione del settore servizi: i Ser.d hanno visto diminuire i loro organici (i pensionamenti sono stati rimpiazzati solo in minima parte) e alcune comunità hanno dovuto chiudere perché si sono drasticamente ridotti i budget regionali a loro disposizione. Non solo: la diminuzione delle overdose, dal culmine degli anni 90 fino all’inizio della seconda decade del 2000 e l’epidemia di Aids tenuta più sotto controllo grazie alle terapie antiretrovirali, hanno prodotto l’idea che quei problemi fossero in buona parte risolti. Si trattava di un’illusione, figlia anche di un criterio di osservazione che ha privilegiato le dipendenze sui consumi, sopravvalutando la diminuzione delle prime (e al tempo stesso trascurando la crescita delle dipendenze comportamentali: gioco d’azzardo, internet ecc) e sottovalutando l’aumento dei secondi e i rischi che sempre si collegano al semplice consumo.

Come giudichi l’attività di prevenzione all’uso di droghe condotta in Italia? È sufficiente? Ci sono abbastanza risorse ed energie per questa attività?

La prevenzione è la “Cenerentola” delle attività sanitarie. È stata la principale vittima dei tagli di finanziamenti e risorse alla Sanità. Alcuni servizi di prevenzione sono scomparsi, altri languono. Mediamente si è arrivati a un taglio di circa il 50 per cento! Le campagne “universali”, massmediatiche, dirette a tutta la popolazione non sono state più prodotte. Forse è il danno minore, considerato il loro scarso impatto. Più grave è il taglio di alcuni servizi che andavano incontro al disagio e all’emarginazione, cercando di rendere le condizioni della dipendenza meno nocive. È il caso delle “unità di strada” per le persone tossicodipendenti da eroina; dei drop-in che hanno consentito un rifugio diurno; di alcuni dormitori per le persone dipendenti che vivono in strada. È stata soprattutto la drastica riduzione di risorse ai Comuni – ancora competenti sotto il profilo legislativo per le attività di prevenzione e reinserimento – ad avere indebolito la rete dei servizi socio-sanitari. Quasi totalmente assenti sono le attività di prevenzione dell’analisi delle sostanze assunte nei luoghi di consumo. Molti giovani comprano senza sapere che cosa effettivamente contengono le sostanze acquistate. Se si sentono male e vengono portati al Pronto Soccorso, il tempo richiesto per trovare l’antidoto tramite analisi di laboratorio può rivelarsi fatale. Con le analisi sul campo si viene invece subito a conoscenza del “prodotto” assunto, e un sistema di allarme rapido a tutte le strutture sanitarie connesse in rete consente un’acquisizione tempestiva dell’antiveleno. Servizi di questo genere esistono a Torino e in pochissimi altri luoghi d’Italia, mentre nel resto d’Europa stanno diventando la norma. C’è poi una prevenzione altrettanto fondamentale che è quella educativa. L’impegno contro la droga comincia nelle scuole e nelle famiglie, in quanto potenziali, formidabili veicoli di passione, di partecipazione, di formazione individuale e sociale. Ma scuola e persone non possono essere lasciate sole in questo compito tanto più impervio in un’epoca il cui il “dettato” del consumo schiaccia i giovani in un presente fine a se stesso, mentre sottrae loro le opportunità di costruire un futuro. Ecco allora la necessità di una “città educativa”, di contesti urbani e sociali dove un adolescente possa trovare risposta alle sue passioni e ascolto alle sue inquietudini, riempiendo di vita e di progetti quei vuoti che sono spesso la premessa all’uso e all’abuso di droga.

Come è cambiato il mondo dell’assistenza alle persone tossicodipendenti?

Meno personale, meno risorse, invecchiamento degli operatori, mancato turn-over con quelli più giovani. Ciò impedisce ai Ser.d di rinnovarsi e di mantenere livelli prestazionali adeguati. In particolare sta avvenendo un’eccessiva “sanitarizzazione” dei Ser.d, in cui il personale medico-infermieristico è preponderante rispetto a quello psico-educativo e sociale. È noto come la tossicodipendenza sia una “malattia” con caratteristiche tutte particolari. Il reinserimento sociale, l’attività di accompagnamento psico-educativo durante la fase di cura sono strumenti importanti quanto il farmaco e la terapia delle malattie “droga-correlate”. Se il pilastro dell’approccio psico-sociale viene meno, anche l’efficacia degli interventi sanitari rimane dimezzata. L’adesione alla cura è la prima a risentirne. Per quanto riguarda le comunità di recupero, oggi si trovano a sostenere problematiche complicate. Le persone tossicodipendenti da eroina sono invecchiate, senza più relazioni familiari, né con la famiglia di origine né con quella eventualmente acquisita; spesso si sovrappongono problematiche di tipo fisico (disabilità) e psichico (doppie diagnosi) ai limiti dell’invalidità, che rendono di fatto impossibile qualsiasi tentativo di reinserimento lavorativo se non in situazioni protette (cooperative di tipo B). Per persone spesso senza casa o fissa dimora, l’intervento finisce così per assumere connotazioni marcatamente assistenziali.

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