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Raccontiamo il bene 2024

La nuova edizione del dossier di Libera che racconta le pratiche di riutilizzo sociale dei beni confiscati alle mafie

Un popolo variegato di associazioni, cooperative sociali, organizzazioni di volontariato, dalla Lombardia alla Sicilia, si fa protagonista della trasformazione dei beni immobili da “beni in mano alle mafie” a “beni comuni e condivisi”. 

Sono 1065 (+7,4% rispetto scorso anno) i soggetti impegnati nella gestione dei beni, distribuiti su 20 regioni e 383 comuni (24 in più dello scorso anno). Una rete di esperienze in grado di fornire servizi e generare welfare, di creare nuovi modelli di economia e di sviluppo e di prendersi cura di chi fa più fatica.

Ma chi sono questi soggetti e cosa fanno?  Dai dati raccolti attraverso l'azione territoriale della rete di Libera emerge che più della metà delle realtà sociali è costituita da associazioni di diversa tipologia (563) mentre le cooperative sociali sono 232; a queste si aggiungono 5 cooperative di lavoro. Tra gli altri soggetti gestori del terzo settore ci sono: 14 associazioni sportive dilettantistiche, 31 enti pubblici, 39 associazioni temporanee di scopo o reti di associazioni, 62 realtà del mondo religioso (diocesi, parrocchie e Caritas), 33 fondazioni private e di comunità, 18 gruppi dello scautismo e infine 31 istituti scolastici di diverso ordine e grado. Il 56,8% delle attività svolte nei beni confiscati riguardano attività di welfare e politiche sociali; il 25,6% promozione culturale e turismo sostenibile e solo il 10% attività legate all'agricoltura e all’ ambiente. La regione con il maggior numero di realtà sociali che gestiscono beni confiscati è la Sicilia con 285 soggetti gestori, segue la Campania 170, la Lombardia con 151 e la Calabria con 149.

A ventotto anni dalla legge 109/96 avanza in silenzio una comunità alternativa a quelle mafiosa, che lavora e si impegna a realizzare un nuovo modello di sviluppo territoriale.

Oggi, dopo 28 anni dall’approvazione della legge 109- commenta Tatiana Giannone, responsabile nazionale Beni Confiscati di Libera - con 1065 soggetti della società civile organizzata che gestiscono beni confiscati, possiamo scrivere con convinzione che il primo obiettivo è stato raggiunto: i beni confiscati, da espressione del potere mafioso, si sono trasformati in beni comuni, strumenti al servizio delle nostre comunità. Più di 500 associazioni di diversa tipologia, oltre 30 scuole di ogni ordine e grado che usano gli spazi confiscati come strumento didattico e che incidono nel tessuto territoriale e costruiscono economia positiva. Un’economia che tutti noi possiamo toccare con mano e che cambia radicalmente le nostre vite. Poter firmare un contratto di lavoro vero, poter usufruire di servizi di welfare laddove lo Stato sembra non arrivare, poter costruire il proprio futuro nel mondo del lavoro: tutto parla di un Paese che ha reagito alla presenza mafiosa e che con orgoglio si è riappropriato dei suoi spazi.

Secondo i dati dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, al 22 febbraio 2024 sono 22.548 i beni immobili (particelle catastali) destinati ai sensi del Codice antimafia (+14% rispetto al 2023); mentre sono 19.871 gli immobili ancora in gestione ed in attesa di destinazione. Sono invece 3.126 le aziende destinate (+77% rispetto al 2023) mentre sono 1.764 quelle ancora in gestione. Sicilia, Calabria e Campania sono ancora una volta le regioni con il maggior tasso di interesse. Nel Nord Italia spicca la Lombardia con 1590 beni immobili (particelle catastali) destinati e 1552 immobili ancora in gestione ed in attesa di essere destinati. Cambia di poco la geografia regionale sul fronte delle aziende. In Sicilia sono 551 le aziende destinate mentre sono 913 quelle ancora in gestione. Segue la Campania e il Lazio.

Dall'altro lato, conclude Tatiana Giannone, raccogliamo segnali preoccupanti del mondo della politica: un attacco costante alle misure di prevenzione, tentativi di privatizzare i beni confiscati e piegarli alla logica dell’economia capitalista, una gestione delle risorse dedicate ad oggi piuttosto confusionaria. Non possiamo accettare che ci siano passi indietro su questo. Le misure di prevenzione si sono dimostrate uno dei più importanti strumenti nella lotta alle mafie e alla corruzione, perché da subito hanno agito sul controllo economico e sociale con il quale i clan soffocano i territori.”

Il dossier presenta anche una prima mappatura sul riutilizzo sociale dei beni confiscati in Europa e America Latina. In Europa, la mappatura ha evidenziato 19 stati membri nei quali esiste una legislazione specifica sull’uso dei beni confiscati per scopi di interesse pubblico o sociali. Ad oggi le esperienze di riuso pubblico e sociale sono 18: due in Spagna, tre in Romania, in Bulgaria e Belgio, una in Francia e Olanda e cinque in Albania.

In America Latina assenza di specifiche normative che qualifichino il delitto di “organizzazione criminale di tipo mafioso” e regolino la confisca dei beni, il sequestro si applica principalmente su beni mobili e immobili collegati a crimini gravi come il narcotraffico o la tratta di esseri umani, come descritto dalla Convenzione di Palermo dell’ONU nel 2000. Secondo la mappatura di Libera sono 7 le esperienze di riutilizzo sociale: quattro in Argentina e tre in Colombia.

Una trasformazione preziosa che ci auguriamo continui a crescere, in Italia e all’Estero.  

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