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25, 109, 1 milione: i primi numeri che mi vengono in mente se penso alla legge sull’uso sociale dei beni confiscati. Sono passati infatti 25 anni da quando, grazie anche al milione di firme raccolte su impulso di Libera, la legge 109 fu approvata in Parlamento. Ma ci sono altri numeri, non meno importanti, che potremmo chiamare in causa, e li trovate in queste pagine. Come i 27 quotidiani che allora pubblicarono il nostro appello in sostegno alla riforma, o le 867 realtà del terzo settore che, in base all’ultimo censimento, gestiscono quei beni sul territorio. Vi rientrano anche 60 fra diocesi, centri Caritas e parrocchie, che nei beni confiscati accolgono le famiglie più povere e fragili, oppure le 9 cooperative agricole di Libera Terra che coltivano le terre un tempo appartenute ai boss. Ciascuno di questi numeri ci parla, illumina un pezzetto della storia. Racconta di quante persone hanno contribuito a raggiungere un obiettivo fondamentale e poi ad alimentarlo nel tempo, a trasporlo dal testo della legge nel quotidiano dell’impegno. Ma racconta anche del molto che oggi resta da fare. In questi 25 anni abbiamo assistito a un lavoro straordinario: il lavoro della magistratura e delle forze di polizia per individuare i beni frutto degli affari sporchi delle mafie, e renderne operativa la confisca; il lavoro di associazioni ed enti pubblici per restituire davvero quei beni alla gente, trasformandoli in scuole, commissariati, centri aggregativi per giovani e anziani, realtà produttive che offrono lavoro pulito e rafforzano il tessuto sociale ed economico dei territori; il lavoro dei volontari, dei giornalisti, degli insegnanti ed edu - catori che a vario titolo si occupano di raccontare queste esperienze, spiegarle, renderle patrimo - nio comune anche a livello culturale. Un enorme lavoro corale, insomma, che dopo 25 anni ci chiede però uno scatto ulteriore di impe - gno, intelligenza e determinazione. La legge può essere migliorata, potenziata sia nel dispositivo che soprattutto nell’attuazione. C’è una debolezza strutturale dello Stato nei confronti delle mafie che vive di lungaggini burocratiche, disordine normativo, competenze non sempre adeguate. Non possiamo permettere che tutto questo si traduca in un messaggio pericoloso: cioè che la 109 è un bluff, uno specchietto per le allodole, nient’altro che un giocattolino per illudere gli onesti.
Luigi Ciotti, presidente nazionale Libera