Il prete che aiuta le donne a fuggire dalla mafia
5 ott 2024 - The New Yorker, la prestigiosa rivista degli Stati Uniti, racconta l'impegno di Luigi Ciotti di Libera accanto alle donne che desiderano allontanarsi da una famiglia con legami mafiosi
Oggi sulla spiaggia di Cutro giace un altro relitto: sono le promesse naufragate dell’Europa dopo la tragedia di un anno fa. Sono i principi stessi di libertà, dignità e giustizia, divelti e abbandonati alla deriva, o condannati a incagliarsi nelle secche delle nostre coscienze assuefatte.
Ciò su cui la nostra democrazia si fonda, ormai affonda. Affonda insieme alle imbarcazioni di migranti che hanno continuato a naufragare senza fare notizia: l’Onu parla di una media di quattro morti al giorno nel Mediterraneo, negli ultimi due mesi. Affonda insieme alle verità che non si riescono a trovare, perché dopo un anno ancora ignoriamo se quelle persone si sarebbero potute salvare, e chi ha deciso di non farlo. Affonda insieme alle attese dei famigliari e degli amici delle vittime: alcuni di loro avrebbero voluto tornare a Cutro a ricordare i compagni di viaggio scomparsi, ma sono bloccati senza passaporto in Germania, con vite ancora precarie, appese ai tempi della burocrazia.
Un anno fa l’Italia intera si è commossa per il destino tragico di uomini, donne e bambini che cercavano scampo da guerre e persecuzioni, ma sono morti a poche decine di metri dalla nostra costa. Fuggivano dall’Afghanista, dall’Iran, e sappiamo cosa succede in quei Paesi. Tutti allora sono venuti a Cutro a piangerli, incluse le istituzioni. C’è stato persino un decreto col nome di questa località della Calabria: misure descritte a garanzia di maggiore sicurezza in mare, e che invece come sempre puntavano a proteggere i confini più che le vite umane.
C’è una gigantesca ipocrisia, nelle politiche italiane ed europee sull’immigrazione: da un lato ci si appella al diritto, dall’altro si calpestano i diritti. Si mortifica lo sforzo di chi, nell’assenza di un intervento pubblico via via smantellato, presidia le acque del Mediterraneo per salvare le persone in pericolo. Mentre le Ong sono accusate di agevolare il traffico di migranti, si scende a patti con Paesi dittatoriali che in quel traffico sono direttamente coinvolti, traendone profitto su due fronti: quello legale degli accordi con l’Occidente, quello illegale degli affari con le mafie.
È di pochi giorni fa la notizia che la Cassazione ha dichiarato la Libia un porto non sicuro, e che due alti ufficiali libici sono indagati in Italia per traffico di esseri umani e torture. Sono situazioni note da tempo! Un film coraggioso che ne parla è candidato all’Oscar. “Io Capitano” di Matteo Garrone ci fa vivere sulla nostra pelle l’odissea nel deserto e nel mare di chi viaggia con un bagaglio di sole speranze. Tutti ci auguriamo sia premiato. Così come premiato dovrebbe essere l’impegno di chi ogni giorno si spende per sottrarre le persone alle violenze e alla morte!
Ci sono poi le contraddizioni di un sistema di accoglienza “a ostacoli”, che spinge molti verso la marginalità e l’illegalità. Dopo le lacrime versate per i morti, si umilia chi “osa” sbarcare vivo. Come Osumane Sylla, di soli 22 anni, da poco suicida nel Cpr di Ponte Galeria a Roma: l’ultimo di una lunga serie di ragazzi e ragazze incapaci di sopportare una detenzione durissima e senza colpe.
Di fronte a chi continua a morire prima di aver visto la fine del viaggio, di fronte a chi arriva ma viene bloccato dentro un limbo di burocrazia, di fronte alle vittime invisibili del caporalato e della tratta, di fronte a confini sempre più militarizzati, e a conflitti che invece spingono la gente a scappare, è evidente che commuoversi non basta! Bisogna muoversi, fare uno scatto avanti concreto: cambiare le leggi, punire non i disperati ma chi approfitta della loro disperazione.
Le emozioni innescate da un dramma come quello di Cutro devono diventare azioni incisive e lungimiranti. Non interventi spot, non occasione di facile propaganda.
Questo ci chiedono le vittime di Cutro e di tutti i naufragi senza nome. Questo ci chiede il residuo di umanità e giustizia che sopravvive fra noi cittadini d’Italia e d’Europa, dopo decenni di messaggi disumani e pratiche profondamente ingiuste.
Luigi Ciotti, presidente Libera e Gruppo Abele