Luigi Ciotti // Intervista

Decreto Caivano

Don Luigi Ciotti in un' intervista a La Stampa"La politica costruisca opportunità arrestare i giovani non è la soluzione"

Decreto Caivano

Sbaglia chi pensa a «interventi repressivi» per affrontare il preoccupante aumento di reati e violenze tra i minorenni. Arrestarli, chiuderli in carcere, inasprire le pene «non è la soluzione», assicura don Luigi Ciotti , fondatore di Libera, protagonista della lotta alla mafia, attento osservatore delle periferie più degradate, dove la criminalità trova terreno fertile. «L'intervento delle forze dell'ordine a Caivano è stato un buon segnale – spiega il sacerdote – ma lì, come altrove, bisogna recuperare il senso di una parola cruciale: prevenzione, che significa agire prima, per impedire che certe cose accadano» .

Non è con i blitz estemporanei che si risolvono i problemi…

«Sia ben chiaro, è stata un'azione importante, che mi auguro possa essere replicata ovunque, perché non c'è solo quel territorio, ma purtroppo in Italia ci sono tante altre Caivano. Detto ciò, prima di annunciare "bonifiche" e mandare le forze di polizia, bisogna chiedersi tutti – io per primo – cosa abbiamo fatto o, meglio, non abbiamo fatto per arrivare a questo punto. Una politica che non ha il coraggio dell'onestà, dell'assunzione di responsabilità, anche di fronte alle proprie omissioni, non sarà mai in grado di costruire un bene comune, di realizzare democrazia».

A quali omissioni si riferisce?

«Le periferie sono territori infestati da paure, rabbie, risentimenti.Legati a condizioni sociali ed economiche precarie, a loro volta frutto di politiche sociali assenti o insufficienti. Il degrado materiale trasmette agli abitanti delle periferie un senso di abbandono, il sospetto, anzi la convinzione, di essere "vite di scarto", prive di valore. E a volte questo sentirsi senza riferimenti diventa rabbia e degenera in violenza. Una politica che voglia essere davvero strumento di progresso e giustizia sociale deve mettere al centro la questione delle periferie».

In concreto?

«Mi hanno molto colpito le parole di una professoressa, forse una preside di Caivano, che ho ascoltato l'altro giorno. Diceva che l'esercito di cui hanno bisogno lì deve essere composto da educatori, assistenti sociali, operatori della cultura. Bisogna costruire opportunità, fornire strumenti e servizi. Questa è l'unica via d'uscita: investire nella scuola, promuovere una crescita culturale di quei territori. E poi sostenere le famiglie, anche dal punto di vista economico e dell'occupazione».

È un percorso che richiede tempo, nel frattempo ha senso convincente in modo più duro chi compie reati, anche se in giovane età?

Ad esempio, è stato previsto l'arresto in flagranza per i minori che spacciano droga.«Guardi, tra i Paesi europei, l'Italia è quello che fa meno ricorso alla detenzione per i reati commessi da minori. In Germania e Francia i numeri dei minori in carcere sono tre volte superiori. In Inghilterra addirittura quattro volte di più, anche perché hanno una soglia anagrafica di punibilità più bassa, fissata a 10 anni. Ma sa una cosa?Non c'è stato un effetto deterrente, da loro la criminalità minorile non è meno preoccupante che da noi».

C'è chi pensa che l'impunibilità renda i giovani più spavaldi e li trasformi in manovranza utile per le organizzazioni criminali. Che ne pensi?

«Non sto dicendo che non sia giusto e doveroso inchiodare chi sbaglia, anche i ragazzi più giovani, alle proprie responsabilità. Ma poi c'è anche la messa in prova, l'accompagnamento, percorsi che portano più risultati, rispetto a interventi repressivi calati dall'alto e dettati dalla paura. Io alla politica della forza preferisco la forza della politica».

Anche la forza di approfondire perché i giovani compiono azioni così orribili ai danni di loro coetanei.

«Il malessere giovanile è uno straordinario indicatore di una disumanizzazione e mercificazione della vita. Non solo nelle gabbie materiali e mentali delle periferie, ma anche nei centri urbani. Oggi le emozioni dei ragazzi sono intercettate dal "mercato" e rese veicoli di profitto. E il loro bisogno di considerazione si manifesta anche in forme perverse, violente. Non dobbiamo stupirci di comportamenti che rivelano un vuoto sentimentale e morale, una totale assenza di empatia. In più, queste violenze vengono quasi sempre riprese da telefonini e poi diffuse nei canali social. Segni di un disperato bisogno di apparire, di gridare al mondo la propria esistenza, anche a costo di uccidere o violentare quella di altri».

E spesso le violenze avvengono sotto l'effetto di alcol e droghe: altro aspetto sottovalutato?

«I dati sull'abuso di alcol tra i 15 ei 19 anni sono terribili e le droghe stanno di nuovo dilagando, complice la scelta strategica delle mafie di ridurre drasticamente i prezzi. La società del capitalismo avanzato evita di parlarne, anni fa c'era più attenzione. Si risponde al malessere dei giovani non con l'ascolto, ma con gli psicofarmaci, il cui uso è puro in crescita allarmante: una risposta che imbavaglia le inquietudini, ma, al tempo stesso, prosciuga i canali emotivi».

I ragazzi si guardano intorno e non vedono alternative...

«Se non hai degli appigli a cui aggrapparti, delle proposte, dei servizi adeguati, ti senti scivolare verso il basso. Ecco allora quartieri della rabbia che prendono piede e si diffondono, approfittando del vuoto di una città incapace di relazione e di cura. Noi dobbiamo fare di tutto per riempire quel vuoto, dobbiamo inondare quei territori di progettualità, di spazi, di opportunità per le persone»

Niccolò Carratelli La Stampa 08/09/23