Il prete che aiuta le donne a fuggire dalla mafia
5 ott 2024 - The New Yorker, la prestigiosa rivista degli Stati Uniti, racconta l'impegno di Luigi Ciotti di Libera accanto alle donne che desiderano allontanarsi da una famiglia con legami mafiosi
La manomissione comincia dalla lingua: "Sono stanco di sentir parlare di popolo. È una parola importante, che bisogna pronunciare con rispetto e, arrivo a dire, un po' di reverenza. Invece, è tra le più abusate e manipolate di questo tempo. I populisti, lungi dall'amare il popolo, di puntare al suo progresso sociale, civile, culturale, economico, l'hanno strumentalizzato per biechi fini di potere, spacciando illusioni, menzogne e creando, se necessario, nemici immaginari, come faceva la dittatura fascista con l'Inghilterra, e come si sta facendo oggi con i migranti". Secondo Don Luigi Ciotti – prete, fondatore del gruppo Abele e presidente dell'associazione antimafia, Libera –, la cosa più urgente da fare oggi non è lanciare allarmi, salire sulle barricate insieme alla propria tribù, non è nemmeno attaccare Luigi Di Maio e Matteo Salvini: "Non mi interessano le polemiche personali". La cosa più importante da fare per Don Ciotti è parlare con i razzisti: "Non solo si può parlare loro: si deve. La parola, quando scaturisce dalla conoscenza ed è animata da passione e onestà, può aprire spiragli in menti che ignorano la realtà o la tengono a distanza con le barriere dei giudizi e dei pregiudizi".
Per farlo, ha scritto "Lettera a un razzista del terzo millennio" (Edizioni Gruppo Abele), un breve libro nel quale si rivolge al suo interlocutore immaginario senza condannarlo moralisticamente, né liquidandolo con la scomunica di un'etichetta – "fascista" – che interrompe qualsiasi discorso, tracciando una divisione irremovibile tra chi sta da una parte e chi sta dall'altra. Al contrario, riconosce l'ingiustizia, l'impoverimento economico, l'esclusione sociale che al falò del razzismo forniscono legna da bruciare in quantità: "Bisogna sempre cercare di capire, tanto più se si tratta di questioni così delicate. Non per indulgenza, ma perché per dare a un problema grave risposte efficaci bisogna comprenderlo in tutte le sue sfaccettature, nei suoi risvolti politici, etici, esistenziali. Altrimenti, da una parte e dall'altra, ci si limita agli slogan e alla propaganda".
Qual è la differenza tra un razzista del terzo millennio e gli altri razzisti?
Credo che a fare la differenza siano soprattutto i mezzi d'informazione e di comunicazione, che negli ultimi decenni, grazie a Internet, hanno conosciuto un potenziamento mai visto prima. Oggi i giudizi sommari e i pregiudizi del razzismo viaggiano a velocità impressionante e possono diffondersi in modo capillare, cosa che è stata sfruttata dai demagoghi e impresari della paura per alimentare l'ostilità contro il "diverso" e lo straniero, additati come i colpevoli dei nostri mali mentre ne sono le principali vittime.
Vittime di cosa?
Di un "sistema ingiusto alla radice" e di una "economia di rapina", come dice Papa Francesco. Le definiamo migrazioni ma sarebbe più giusto definirle "migrazioni indotte". L'Occidente ha colonizzato prima politicamente e poi economicamente interi continenti, ne ha razziato le risorse, violentato la natura, ucciso le culture. Ha fatto insomma terra bruciata attorno a chi abitava quei luoghi da millenni. E ora si lamenta se quelle persone vengono da noi disperate a chiedere una mano. Andiamo allora a costruire, non a demolire e rubare: di colpo si fermeranno gli esodi forzati e le tante tragedie a loro connesse, perché il migrare sarà di nuovo una scelta libera, non un destino terribile su cui lucrano mafie e bande criminali.
Dunque, dobbiamo aiutarli a casa loro?
Questa frase è il culmine dell'ipocrisia, un'affermazione con cui il razzismo nasconde la propria cattiva coscienza e cerca di darsi rispettabilità e credibilità. È una copertura suggestiva per nascondere l'indisponibilità all'accoglienza.
Lei è cristiano, e per lei accogliere è un dovere. Ma per chi non lo è?
Accogliere non è un dovere. È un imperativo etico, una legge di coscienza. Che io sento in quanto essere umano, prima ancora che cristiano.
Ma un governante deve mettere al primo posto la protezione dell'umanità in generale, o dei cittadini della propria nazione?
Io credo che un politico che voglia davvero proteggere la propria nazione deve costruire giustizia sociale, fare in modo che a tutte le persone sia riconosciuto il diritto a una vita libera e dignitosa e adoperarsi affinché tale diritto non resti un'enunciazione, un proposito, un articolo di legge. Questo diritto, in Italia e in Europa, si è andato via via sfaldando. Tanto è vero che i Paesi dell'Occidente ricco sono quelli in cui si sono verificati i massimi picchi di disuguaglianza sociale. Altro che protezione.
Perché i razzisti sono anche tra i poveri?
Perché le fasce sociali più fragili e disagiate sono diventate – con la crescita esponenziale di povertà e disoccupazione – un grande bacino di consenso e dunque di potere per gli spacciatori di menzogne e illusioni. È innanzitutto a loro che si rivolge la propaganda razzista.
Il governo alimenta questo messaggio?
Non m'interessa polemizzare con chi governa. Nel nostro Paese è prevalsa – non da oggi e salvo rare eccezioni – la tentazione di fare delle paure un terreno di conquista per futuri bottini elettorali.
A cosa può portare il desiderio dell'uomo forte di cui lei parla?
È la storia a dirci a che cosa ha condotto nei momenti di crisi sociale e economica il "desiderio dell'uomo forte": a regimi autoritari che hanno aggravato e moltiplicato i mali di cui si proclamavano il rimedio. E questo perché da sempre la principale preoccupazione del cosiddetto "uomo forte" è il proprio ego, il riconoscimento, il tributo e l'ovazione delle masse, non il loro progresso e benessere. Masse abbagliate dalle messinscene del potere, dalle sue parole roboanti e dalle sue dichiarazioni di guerra, dunque masse docili, obbedienti, conformi.
Come se ne può uscire?
Occorre che ciascuno di noi apra gli occhi e si assuma con convinzione la sua parte di responsabilità in quanto custode e artefice del bene comune. Occorre insomma essere cittadini fino in fondo e sempre, come ci esortò a essere 71 anni fa il più radicale e coraggioso degli scritti politici: la nostra Costituzione.
14.04.2019 | Nicola Mirenzi Huffington Post.it