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Messico paese di stragi, di omicidi, di barbarie inaudite. Paese di criminalità organizzata, di cartelli di narcotrafficanti, di giornalisti sequestrati e uccisi. C’è corruzione nella polizia, c’è corruzione nell'esercito e davanti tutto questo il potere politico preferisce negare l'evidenza, nascondere, occultare.
Non è più il Messico della musica, dell'allegria, delle antiche culture Maya e Azteca e della tequila. E' un paese in guerra. Una guerra invisibile che ha provocato una mattanza che dal 2006 al 2012 ha contato 53 morti al giorno, 1620 al mese, 19.442 all'anno per un totale di 136.100 persone uccise di cui 116mila collegati alla guerra con la criminalità organizzata, 20 mila per delinquenza comune.In Messico muore chi indaga, chi combatte e chi tradisce, chi si ribella alle estorsioni, chi denuncia, chi non paga i riscatti per gli ostaggi sequestrati. Il connubio tra narcos e potere politico è tale che il cittadino messicano è indifeso di fronte alla violenza.
Milioni di messicani, le cui forme, e spesso aspettative di vita sono costrette a cambiare radicalmente per convivere con, o sfuggire dalle bande, dai cartelli, dalla guerra, dall'insicurezza cronica, dalla inefficacia o spesso collusione delle forze dell'ordine. In Messico, i rappresentanti della classe politica non sono stati capaci di sostituire i meccanismi autoritari del vecchio partito unico di Stato con altri connotati da caratteri di democrazia. In questo scenario in Messico si combattono molte guerre. Tutte invisibili. La prima oppone i cartelli avversari, la seconda interna alle bande per la supremazia del territorio e degli affari; la terza è contro lo Stato e il suo potere corrotto. E ancora quella contro la Polizia, contro i testimoni, i civili inermi, i giornalisti. All'origine di tutto il controllo del mercato della droga.