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Lea non c’è più, ma il suo coraggio ha cambiato la vita di tante donne

Enza Rando, a distanza di quasi dieci anni dalla sua morte, ricorda Lea Garofalo.

«Lea  non c'è più  ma il suo coraggio sta cambiando la vita di tante donne. A distanza di quasi dieci anni dalla sua morte si vedono i segni della sua grande rivoluzione«. Le parole sono dell’avvocato Vincenza Rando, vicepresidente nazionale di Libera, che ha difeso Lea Garofalo e sua figlia Denise.

Qual è la rivoluzione di Lea?

«La forza di Lea, la storia della sua vita che è anche diventata un film, ha spinto molte donne che vivevano all’interno di famiglie mafiose a prendere una strada diversa. A uscire da quel mondo, a liberare se stesse e i propri figli per conquistare una vita migliore. Ho sentito tante di loro dire ai magistrati di essere state ispirate dalla storia di Lea».

Come vengono aiutate queste donne che si ribellano ai clan?

«Libera sta seguendo una trentina di famiglie composte da donne e bambini grazie a “Liberi di scegliere”, un protocollo di intesa stipulato tra Dipartimento Pari opportunità della Presidenza del Consiglio, Tribunale per i Minorenni, Procura per i Minorenni e Procura Distrettuale di Reggio Calabria, Procura Nazionale Antimafia e Libera, sostenuto dalla Conferenza episcopale italiana. Crea una rete di protezione e di sostegno con magistrati, psicologi e formatori».

Cosa ricorda di Lea?

«Tutto. Ma soprattutto mi torna sempre alla mente una frase: “Forse si parlerà di me quando non ci sarò più”. Ora è diventata il simbolo della donna che si ribella alla ‘ndrangheta».

Quando la vide l’ultima volta?

«Era il 20 novembre 2009, quattro giorni prima del delitto. Eravamo a Firenze per un processo, io lei e Denise. Cercai di dissuaderla dall’incontrare il marito, ma lei mi rispose: “Lo faccio per mia figlia. Mia figlia deve importare anche al padre”. Lea si fidava di una città, Milano, in cui secondo lei il marito e i suoi affiliati non potevano organizzare un omicidio. Ma conoscevano il territorio e avevano forza. E Lea si era fidata. Aveva acume, capacità di analisi. Era cresciuta nelle biblioteche delle città in cui si recava come testimone di giustizia. Sapeva che la cultura e lo studio rendono liberi e lo diceva sempre alla figlia».

Fu sua l’idea di invitare i giovani nelle aule di Tribunale, al processo per Lea, per tutelare Denise?

«Sì. Per non lasciarla sola, ma anche per coinvolgerli. Ogni volta l’aula era piena di ragazzi. Ricordo un gruppo di Sassuolo che aveva affittato un pullman e venne in udienza due volte. Ho rivisto alcuni ragazzi il 23 maggio, all’anniversario della strage di Capaci. Quell’esperienza li ha segnati, guidandoli pure nella scelta delle professioni future».

Come sta Denise?

«Denise è una ragazza di quasi 28 anni che sta scrivendo la sua storia di donna libera».

In un’intervista parlò di suo padre. Che dice ora di lui?

«Ricordo quell’intervista, con Carlo Lucarelli. La sua posizione non è cambiata: di suo padre dice che non sa cosa si è perso, non sa cosa vuol dire avere l’amore di una famiglia e vederla crescere. Denise ora sta scrivendo una storia tutta diversa»

 03.06.2019 | Il Giorno | Marianna Vazzana

Progetto
Civili e di parte
Ufficio Legale // Giustizia

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Libera si è costituita in numerosi processi contro la criminalità organizzata, le mafie. Un percorso corresponsabile che si vede e si sente. Uno straordinario esercizio di democrazia partecipata.

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