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"Mafie al Nord, i segni erano evidenti"

L'intervista di Luigi Ciotti sulla presenza delle mafie al Nord Italia.

Don Luigi Ciotti, presidente di Libera, conosce bene sia le mafie, sia il Veneto, la sua terra natale. Ecco l’intervista che ci ha concesso per l’Atlante criminale veneto.

Le mafie in Veneto sono spesso trattate come un virus che aggredisce una società e una economia di per sé sani. Con il Mose e con mille altre piccoli episodi, vediamo che in realtà non è così. Si riesce a far sì che la società civile ne prenda coscienza?

Questa presa di coscienza è la premessa del contrasto alle mafie e alla corruzione. Per quanto efficaci, le sole misure repressive non basteranno infatti mai a eliminare il crimine organizzato nelle sue molteplici forme. Prima che un fatto criminale, le mafie sono un fenomeno che affonda le radici nelle smagliature del sistema sociale, negli abusi di potere, nella mancanza di senso civico. La vera forza delle mafie sta fuori dalle mafie. Non sarebbero così potenti e ricche, le mafie, senza la cortina di cecità e indifferenza di cui spesso le si circonda. Occorre allora una grande opera educativa e culturale perché è la cultura che sveglia le coscienze.

Quest’anno la capitale della lotta alle mafie sarà proprio Padova, il 21 marzo: perché?

Padova rappresenterà l’intero Nordest, perché iniziative si terranno anche in Friuli Venezia Giulia e in Trentino Alto Adige oltre che in centinaia di luoghi d’Italia, come è ormai tradizione per la “Giornata della memoria e dell’impegno”. Ciò detto, abbiamo scelto Padova per il rapporto che ci lega alla città, per la disponibilità delle istituzioni, per la presenza di persone e gruppi che operano con passione e capacità e per il desiderio di portare, nel nostro piccolo, un segno di speranza, la testimonianza di un’Italia che crede nel lavoro, nella giustizia, nella Costituzione, ossia nella dignità e nella libertà delle persone.

Come sta reagendo il mondo politico a questa iniziativa? E quello imprenditoriale?

Come detto, ho trovato interesse e disponibilità, a cominciare dal sindaco Giordani e dal governatore Zaia, che ho incontrato negli scorsi giorni. Ma voglio anche ricordare una recente serata a Rubano con una grande partecipazione di pubblico alla presenza di ben venti sindaci, e l’incontro molto cordiale e collaborativo con il Patriarca di Venezia Moraglia e con il responsabile della Diocesi.

Lei ha scritto, a proposito delle mafie in Veneto: “Sono metamorfiche, cangianti nell’aspetto e nelle strategie, ma attive”. Da cosa dobbiamo guardarci?

Dobbiamo appunto guardarci dalla loro capacità di mimetizzarsi e di agire sottotraccia. Prerogativa che hanno sempre avuto ma che in questi ultimi vent’anni hanno sviluppato come mai prima. Le mafie hanno previsto, con innegabile lungimiranza, i cambiamenti prodotti dalla globalizzazione e si sono insediate, prima attraverso terzi poi acquisendo specifiche professionalità, nel mercato economico e finanziario, con una moltiplicazione dei profitti e dunque del potere. Se prima si caratterizzavano come un “mondo a parte” oggi sono in grado di manifestarsi come parte del nostro mondo e di passare dunque più inosservate. Occorre allora superare i vecchi schemi, gli stereotipi e certe trite mitologie: per molti, troppi, le mafie e la lotta alle mafie sono rimaste ferme a ventisei anni fa, alle stragi di Capaci e via d’Amelio.

Abbiamo avuto casi accertati di interlocuzione tra la politica e la criminalità organizzata. C’è sufficiente coscienza di quest’interessenza?

I legame fra mafie e politica è di antica data e la politica non ha mai dimostrato, salvo virtuose eccezioni, una chiara volontà di reciderlo. Si ricordi ad esempio la levata di scudi quando Rosy Bindi, uno dei più seri e capaci presidenti della Commissione parlamentare antimafia, indicò una serie di candidature “impresentabili” in occasione delle ultime elezioni. Non voglio generalizzare perché ci sono persone pulite e competenti ma gran parte della classe politica dovrebbe interrogarsi sui silenzi, le negligenze, le omissioni e anche, appunto, le complicità. Occorre una profonda rigenerazione che non può essere perseguita solo attraverso la stesura di codici etici che, come abbiamo visto, spesso si riducono a funzioni estetiche e decorative, parole che restano sulla carta senza incidere nelle coscienze e nei comportamenti.

Non solo politici corruttibili ma anche liberi professionisti compiacenti, facilitatori e intrallazzatori di vario genere. Venetissimi. Solo loro la zona grigia. Come scovarli?

Scovarli è compito delle forze di polizia e della magistratura, che in Veneto, come in altre regioni, si distinguono per impegno e capacità. Per parte loro i cittadini hanno il compito, non meno essenziale, di smascherare la zona grigia facendogli attorno terra bruciata, recidendo ogni legame e contiguità. Non ci saranno più zone grigie quando tra il lecito e l’illecito non ci saranno più compromessi e vie di mezzo, ossia quando l’etica tornerà a essere il movente principale della politica e della società nel suo insieme.

È passato poco tempo dallo scandalo Mose che ha decapitato la classe politica regionale e coinvolto molta parte dell’imprenditoria e sembra quasi che non sia successo niente. Qui si riesce a digerire tutto: che fare?

La corruzione è un problema forse ancora più grave delle mafie perché è il loro “apripista” e perché è un crimine ancora percepito dai più – o comunque da molti – come una sorta di clausola non scritta delle relazioni d’interesse, un do ut des connaturato all’“ordine” delle cose, un reato, forse, ma non necessariamente e non sempre, e comunque frutto di un agire tanto diffuso che perseguirlo è un’illusione da sprovveduti. Perciò ben vengano le indagini, i processi, le norme ad hoc, le misure penali proporzionate e le autorità specificamente dedicate, ma per liberarci da questa piaga occorre un grande impegno educativo, un’etica della cittadinanza e del bene comune, un cambiamento “dal basso” e prima ancora da dentro, del cuore e delle coscienze. Senza contare che la corruzione non è più solo l’incubatrice delle mafie ma ormai il loro metodo prevalente. Nell’epoca dell’economia di mercato, con la sua rete globale e le sue tante zone oscure, le organizzazioni criminali hanno meno necessità di ricorrere alla violenza diretta perché ottengono coi soldi quello che un tempo ottenevano soprattutto con l’uso delle armi. Il risultato è che sono più ricche, più forti ma anche più invisibili e trascurate, perché per molti vige ancora l’idea che c’è mafia solo laddove c’è un fatto di sangue. È l’intreccio fra crimine economico, crimine organizzato e crimine politico, la grande piaga di quest’epoca.

Aemilia è il simbolo plastico delle mafie al Nord, anni dopo il loro radicamento a Nordovest e prima dello sbarco a Nordest? Cosa dobbiamo imparare da quella storia?

A non ripetere gli stessi errori. Il Veneto è una terra a cui certo non mancano gli anticorpi, ma alcune commistioni criminali, un certo inquinamento del tessuto economico – accertati dalle indagini e dai processi nell’ambito dell’edilizia, dell’immobiliare, degli appalti, dello smaltimento dei rifiuti, attorno ai quali si sono verificati fenomeni di estorsione e di riciclaggio – devono fare riflettere. Sulla presenza delle mafie al nord, nel nostro Paese, c’è stata molta superficialità, pressappochismo e anche, mi permetto di dire, malafede. Perché i segni erano evidenti. Penso all’omicidio del giudice Bruno Caccia nel 1983 a Torino da parte della ‘ndrangheta, o alle parole del prefetto Dalla Chiesa nell’intervista concessa a Giorgio Bocca prima di essere ucciso: «La mafia ormai sta nelle maggiori città italiane dove ha fatto grossi investimenti edilizi, o commerciali e magari industriali». Le mafie da sempre hanno radici al Sud, ma i frutti li raccolgono al Nord, dove l’economia è più forte e maggiori le possibilità di fare affari. E questo riconferma la necessità di vigilare non solo sull’aspetto “criminale” del fenomeno, ma sulla sua capacità di insinuarsi nel cuore del sistema economico attraverso la corruzione, le speculazioni, il condizionamento degli appalti, l’uso di prestanome e di società fittizie.

27.11.2018 | Gianni Belloni Il Mattino di Padova

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