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Appello per la liberazione di Fahimeh Karimi e per tutto il popolo iraniano

Appello per la liberazione di Fahimeh Karimi e per tutto il popolo iraniano

Luigi Ciotti intervistato da La Stampa : "Nessuno di noi può dirsi libero finché la protesta sarà repressa"

Un estratto dell'intervista  di Luigi Ciotti sul quotidiano La Stampa  sulle protesta in Iran. L'intervista integrale sull'edizione cartacea di Domenica 11 dicembre e su sito www.lastampa.it

«Sono uno dei firmatari perché penso sia giusto e doveroso firmare. Ma penso anche che per impedire un'ingiustizia non bastino le firme dei cittadini né le condanne dei singoli governi». Don Luigi Ciotti è la testimonianza vivente del valore dello schierarsi, del far sentire la propria voce, della libertà come partecipazione, per dirla alla Gaber. Ed è anche la testimonianza di come si possa coinvolgere e trascinare nelle battaglie i giovani, quelli occidentali, che le libertà le danno per scontate o silenziati dalla rassegnazione a un mondo che non si può cambiare. Per questo è naturale trovare il nome del fondatore di Libera tra i firmatari dell'appello per la liberazione di Fahimeh Karimi e per tutto il popolo iraniano.

Don Ciotti, cosa serve oltre alle firme e alle condanne?
«Occorre un'azione comune - non solo dell'Europa ma dell'intero mondo occidentale - contro il Paese che intende commettere l'ingiustizia perché sia chiaro che il suo atto non resterà impunito ma avrà conseguenze pratiche e materiali nei rapporti col resto del mondo. Il problema, enorme, è che l'Occidente manca della credibilità etica per stabilire criteri morali. La difficoltà culturale dell'Occidente sta nella sua povertà etica, povertà che viene dall'aver sostituito il bene comune con l'interesse privato. Non si può dettare legge senza un'etica, cioè senza coerenza tra princìpi e azioni.

Cosa ci insegnano i ragazzi e le ragazze iraniane?
«Che la libertà e la democrazia non sono appunto beni su cui si può "campare di rendita". La libertà è un percorso, un processo: si diventa liberi e non si smette mai di diventarlo. Anche perché la libertà è il più prezioso e, al tempo stesso, il più esigente dei beni comuni in quanto ideale che aspira all'universalità: si è liberi solo quando anche tutti gli altri lo sono. Se viene alla ridotta sola sfera individuale, la libertà diventa arbitrio, rivendicazione di potere, che è la grande malattia del mondo occidentale. La libertà è l'esatto contrario dell'arbitrio, la libertà è il compito che ci assegna la vita: quello d'impegnarla e impegnarci per liberare chi ancora libero non è».
 

Questa mobilitazione lascerà un segno nella coscienza collettiva e nei giovani di oggi, cioè gli adulti di domani?
«Me lo auguro con tutto il cuore perché coscienze segnate da sofferenze e ingiustizie che avvengono anche a migliaia di chilometri di distanza sono coscienze capaci di quell'immedesimazione che è molto più di una generica "solidarietà": è capacità di sentire sulla propria pelle il dolore degli altri e trasformare quel sentimento in azione, in impegno. Ho molta fiducia nei giovani anche perché, a differenza di molti adulti, hanno una sensibilità ancora viva, non ammaestrata se non anestetizzata».

Guardando tutto' Iran è più fiducioso in una svolta o preoccupato?

«La fiducia non deve offuscare o sostituire la lucidità: il desiderio di libertà potrà realizzarsi se si verificheranno quelle condizioni di mobilitazione globale dell'Occidente a cui accennavo.Altrimenti prevarrà la repressione anche violenta e cruenta.Ma il sostegno alla lotta dei giovani e in particolare delle donne iraniane potrà essere importante se l'Occidente per primo avrà il coraggio di affidare alle donne, oltre che pari diritti, uguali e maggiori responsabilità.In Occidente prevale ancora, salvo eccezioni, l'idea di una rappresentazione puramente ornamentale del mondo femminile perché le leve del vero potere sono ancora quasi esclusivamente in mani maschili, con i risultati che vediamo»

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